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17 ottobre 2010

Attorno al futuro del mondo c’è un brutto clima



di Salvatore Santangelo
Non è facile allarmismo: il cambiamento climatico è più pericoloso di Osama bin Laden per la sicurezza degli Usa e del mondo. Lo dice un rapporto del Pentagono.

(clicca sulla carta per ingrandirla - carta di Laura Canali tratta dal Quaderno Speciale di Limes 1/2006 "Tutti giù per terra" - vai a tutte le carte a colori su Clima e Ambiente)
«Il riscaldamento globale del pianeta può esercitare una pressione crescente su acque dolci e cibo per il prossimo secolo, provocando disordine sociale, migrazioni di massa e conflitti violenti». Questa la tesi del giornalista e storico militare Gwynne Dyer nel suo libro del 2008 Climate war.

Ma c’è una prova reale del legame tra cambiamento climatico e guerre civili? Per Halvard Buhaug, ricercatore del Peace Research Istitute di Oslo, no. In un articolo pubblicato sulla prestigiosa Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas) egli ha cercato una relazione tra la temperatura, la variabilità delle precipitazioni e la frequenza delle guerre civili nel corso degli ultimi 50 anni in Africa sub-sahariana - probabilmente la parte del mondo socialmente ed ecologicamente più vulnerabile ai cambiamenti climatici.

La sua risposta è che «le causa di una guerra civile sono politiche, non ambientali». Questo studio sfida un’altra analisi pubblicata sulla stessa rivista alcuni anni prima, che giungeva a conclusioni diametralmente opposte. Marshall Burke aveva infatti affermato che: «Sfortunatamente il nostro lavoro ha trovato un aumento del rischio di guerre civili in Africa del 50% nel 2030 rispetto al 1990, con costi umani potenzialmente enormi».

Commenta questi risultati Edward Miguel, economista a Berkeley: «Noi stessi siamo rimasti sorpresi dalla forza del legame fra temperature e conflitti. Ma il risultato ha senso. La maggior parte dei paesi africani dipende dall’agricoltura per la propria sopravvivenza, e le messi sono molto sensibili anche a piccoli cambiamenti di temperatura. Quando la temperatura sale, la probabilità che molti in Africa ne risentano è notevole, e la probabilità che qualcuno decida di prendere le armi anche».

I due gruppi di ricercatori contrapposti stanno ora contestando la validità delle rispettive conclusioni. Ma la cosa particolare è che per la prima volta è stato messo in discussione un nesso (quello tra guerra e cambiamenti climatici) che sembrava ormai assodato.

Rapporti tra sicurezza, sviluppo e cambiamenti climatici

Già durante la Guerra Fredda Rober McNamara tentò di ridefinire il concetto di sicurezza internazionale. Nel 1968, in The Essence of Security, espresse un concetto di “sicurezza globale” secondo cui la sicurezza dei paesi industrializzati è direttamente legata alle condizioni di quelli in via di sviluppo.

Gli anni Ottanta videro il fiorire delle tematiche ambientali nell’ambito della sicurezza internazionale, a partire dallo studio Redefining Security di Richard Ullman, che inserisce le componenti ambientali come possibili cause di conflitti.

Le connessioni tra sviluppo, ambiente e sicurezza vengono ampiamente riprese nel 1987 nel rapporto finale della Brundtland Commission Our Common Future, secondo cui il concetto generale di sicurezza deve essere esteso fino a includere il ruolo delle crisi ambientali su scala locale, regionale e globale.

Particolarmente rilevante è la sezione Peace, Security, Development and the Environment, in cui si sostiene la necessità di una totale revisione delle politiche di sicurezza per includere anche componenti ambientali.

L'articolo di Jessica Tuchman "Redefining Security", sulle pagine di Foreign Affairs(vol. 68), identifica un netto rapporto tra incremento demografico e degrado delle risorse naturali, e in particolare delle risorse rinnovabili, come variabile determinante per generare conflitti e coloro che l’autrice definisce “rifugiati ambientali”.

Il maggiore impulso alla creazione della disciplina oggi nota come Environmental Security arriva nei primi anni Novanta da organizzazioni tradizionalmente impegnate nella sicurezza internazionale e interessate a ridefinire gli scenari geopolitici del post-guerra fredda.

Nel 1994 il giornalista ed esperto di strategia Robert Kaplan ha scritto un articolo dal titolo "The coming anarchy: how scarcity, crime, overpopulation and disease are rapidly destroying the social fabric of our planet", (Atlantic Monthly - Febbraio 1994), che pone le basi del concetto di environmental security. Nello stesso periodo Thomas Homer-Dixon, ritenuto il maggior pioniere del settore, porta a termine un’ampia ricerca che costituisce a oggi il metro di paragone degli studi in materia.

Immaginare l’impensabile

An Abrupt Change and Its Implications for United States National Security (Un violento cambiamento climatico e le sue implicazioni per la sicurezza degli Stati Uniti. Sottotitolo: Immaginare l’impensabile) è il titolo di un documento riservato del 2004 del Pentagono; pubblicato sulle pagine di Fortune e dell’Observer, è stato poi ripreso dai giornali di tutto il mondo con un clamore giustificato dall’autorevolezza del destinatario.

Dietro la commissione dello studio c’è infatti una leggenda del Pentagono come Andrew Marshall - ultraottantenne, soprannome Yoda, come il maestro Jedi di Guerre stellari - capo dell’Office of Net Assessment (un dipartimento strategico che si occupa di valutare i rischi connessi ad ogni possibile minaccia alla sicurezza nazionale Usa). Negli ultimi trent’anni le opinioni di Marshall hanno sempre avuto una grande influenza sulle strategie dell’intero Dipartimento di Difesa.

Marshall ha incaricato Peter Schwartz e Doug Randall (del prestigioso gruppo di consulenza californiano Global Business Network) di redigere il rapporto. Schwartz, consulente della Cia, già capo della pianificazione del gruppo petrolifero Royal Dutch/Shell, è uno dei più stimati futurologhi americani, collaboratore di Steven Spielberg per Minority Report: un’autorità nel campo della strategic vision, consulente e organizzatore di giochi di ruolo e simulazioni, tra i protagonisti di un importantissimo war game che si è tenuto il 22 gennaio 2000, a porte chiuse, nella sede del Council on Foreign Relation: The Next Financial Crisis: Warning Signs, Damage Control and Impact.

Il rapporto naturalmente si concentra sugli scenari geopolitici che potrebbero derivare dal cambiamento climatico, e sulle conseguenze per gli Stati Uniti. Schwartz e Randall, oltre a consultare un’immensa bibliografia, hanno parlato con diversi scienziati, pregandoli di raccontare tutto quello che sanno, anche ciò che evitano di esprimere in pubblico. Il risultato è il quadro di un pianeta che potrebbe dirigersi improvvisamente verso la catastrofe, dopo anni di avvertimenti più o meno espliciti.

«Il riscaldamento globale della Terra è potenzialmente più pericoloso di qualsiasi forma di terrorismo»: questa è l’inquietante rivelazione delle previsioni del Pentagono. Invece di causare graduali cambiamenti, “spalmati” nell’arco di secoli, esso - provocato soprattutto dall’aumento dei gas serra - potrebbe, in anticipo su ogni previsione, portare l’intero sistema verso un punto di non ritorno.

Il paradosso è che la principale e più temuta conseguenza del riscaldamento globale potrebbe essere una specie di glaciazione che colpirebbe l’emisfero settentrionale. La fusione dei ghiacci della Groenlandia, infatti, potrebbe provocare l’interruzione di quella Corrente del Golfo che da secoli - notoriamente - mitiga il clima della costa orientale degli Stati Uniti e dell’Europa settentrionale. Se l’Inghilterra non ha le stesse temperature del Labrador, che è alla sua stessa latitudine, è proprio grazie alle acque calde che arrivano dal Golfo del Messico.

Una cosa del genere è già avvenuta in passato, durante l'ultimo episodio glaciale denominato Younger Dryas, circa diecimila anni fa. Allora, secondo la ricostruzione degli scienziati, a innescare la glaciazione sarebbe stata proprio l’immissione di acqua dolce provocata dalla fusione dei ghiacci groenlandesi.

Gli anni precedenti lo Younger Dryas, infatti, erano stati molto caldi, probabilmente più di quelli attuali. Solo che si prevede che le temperature della Terra cresceranno ancora, e già si vedono i primi segnali di una diminuita salinità delle acque dell’Atlantico settentrionale.

La catastrofe

Gli scenari descritti in questa relazione avrebbero conseguenze immediate sulla sicurezza nazionale, nel senso che da questa situazione deriverebbero problematiche di ordine sociale, politico e militare che potrebbero spingere gli Usa ad azioni militari per garantire la propria sicurezza e quella dei suoi alleati. Il rapporto recita testualmente: «Rivolte e conflitti diventeranno parte endemica della Società: la guerra tornerà a definire i parametri della vita umana».

Ciò significa che scoppieranno conflitti non solo per il controllo delle risorse energetiche, per cui gli Usa si preparano da tempo, ma anche per la sopravvivenza, per il controllo dei territori da impiegare nell’agricoltura e per le risorse idriche. Secondo il documento la vera minaccia per la sicurezza dell’America e del mondo non è quella di Osama bin Laden e dei suoi terroristi.

È quella dell’effetto serra, in conseguenza del quale violente tempeste abbatteranno le barriere costiere rendendo inabitabile, ad esempio, gran parte dell'Olanda. Città come L’Aja e paesi come il Bangladesh saranno sommersi dalle acque e dovranno essere abbandonati. Tra 2010 e 2020 l’Europa potrebbe essere la regione più colpita dagli effetti dei mutamenti climatici.

Qui il rallentamento della Corrente del Golfo dovrebbe portare a un calo di 3,5 gradi della temperatura media, contro i 2,8 della costa orientale Usa. Il Grande Freddo in meno di vent’anni potrebbe essere così pronunciato da far apparire iceberg lungo la costa del Portogallo. Anche nel migliore dei casi, in Gran Bretagna il clima diventerà più freddo e più asciutto: Londra dovrà abituarsi a schemi meteorologici simili alla Siberia.

La civiltà occidentale potrebbe andare incontro ad un progressivo decadimento se non sarà in grado di risolvere il problema dell’acquisizione e dello sfruttamento delle fonti energetiche alternative a quelle dei combustibili fossili, in quanto il progresso economico-sociale e tecnologico della nostra civiltà, che vorremmo fosse eterno, sarà limitato dalle crisi petrolifere future che sorgeranno nel momento in cui comincerà a scarseggiare “l’oro nero”.

Disordini riguarderanno aree densamente popolate come l’Africa e l’India, mentre zone ricche come l’Europa e l’America diventeranno l’unica speranza di salvezza per milioni di profughi. Questo spingerà gli Stati occidentali a praticare politiche sempre più restrittive per l’afflusso di migranti, innalzando vere e proprie “barriere” contro l’immigrazione selvaggia.

La bellicosità nei confronti degli Usa - il paese più ricco, ma anche il più responsabile dell’aumento dei gas serra - aumenterà, e con essa i rischi. Il Pentagono ha ipotizzato inoltre una ripresa della proliferazione degli armamenti nucleari, che riguarderà sia paesi europei come la Germania sia asiatici come il Giappone e la Corea del Sud.

Si armeranno anche l’Iran e l’Egitto, mentre l’India e il Pakistan saranno tentati di usare l’atomica nelle prossime crisi. Peter Schwartz e Doug Randall concludono dunque che il clima è un problema di policy, non di scienza.

Secondo i due autori del rapporto è tempo che «i cambiamenti climatici escano dal dibattito scientifico per investire quello della pianificazione strategica» perché entro il 2020 «catastrofiche carenze di acqua e energia diventeranno sempre più acute e faranno precipitare il pianeta nella guerra».